La redazione di Io le donne non le capisco affida a Marina Baldi, nota genetista forense, la spiegazione di un tema complesso ma molto attuale: il movimento del childfree.
Nel mio lavoro di biologa e genetista mi capita spesso di confrontarmi con coppie desiderose di procreare, per le quali però, per diversi motivi, la tanto agognata gravidanza è un traguardo difficile da raggiungere. Analisi del DNA, tecniche di procreazione medicalmente assistita e diagnosi pre-impianto sono solo alcune delle procedure a cui gli aspiranti genitori si sottopongono: procedure molto spesso pesanti dal punto di vista emotivo, anche perché la certezza del risultato, ad oggi, è impossibile averla.
Ma, come si suol dire, il mondo è bello perché è vario, ed è così che ultimamente si sente sempre più parlare di chi ha esigenze diametralmente opposte a quelle delle mie pazienti: mi riferisco al cosiddetto “movimento Childfree”, ossia a chi di figli proprio non ne vuol sentir parlare, tanto da compiere atti irreversibili pur di non averli. Si tratta di una corrente di pensiero che, ovviamente, esiste da sempre, ma in passato soprattutto per una donna era difficile da ammettere ed esternare. Negli ultimi anni, invece, questo tabù si sta sgretolando, lasciando spazio a una determinazione sempre più forte, quasi una rivisitazione contemporanea del motto degli anni Settanta “L’utero è mio e me lo gestisco io”.
Il movimento chiamato appunto “Childfree” nasce in America già all’inizio di questo millennio. Nel 2013 la celebre rivista Time gli dedica anche una copertina, con una frase molto chiarificatrice del concetto: “When having all means not having children”.
In Italia, invece, le prime ricerche riguardanti questa corrente di pensiero risalgono al 2005, ma è negli ultimi tempi che il fenomeno è salito alla ribalta, soprattutto dopo che ne ha parlato la trasmissione di Rai 2 Nemo e dopo che l’attrice Michela Andreozzi ha pubblicato il libro autobiografico dal titolo “Non me lo chiedete più – #childfree La libertà di non volere figli e non sentirsi in colpa” (HarperCollins Italia Editore). Anche su internet sono numerosi i siti e i gruppi social che parlano dell’argomento. Tra i tanti, segnalo il gruppo Facebook “Childfree Italia” e il forum “Childfreezone”, dove oltre a post ironici e qualche caduta di stile è possibile trovare interessanti spunti di riflessione sul tema.
Ma in cosa consiste questa “filosofia di vita”? Il childfree tipo è una persona sotto i trent’anni, quindi nel pieno dell’età fertile, maschio o femmina, alla quale manca totalmente l’istinto genitoriale. Non vuole avere figli e non ne ha mai voluti avere (da qui la differenza sostanziale tra childfree, ossia chi vuole essere libero dai figli, e childless, chi è senza figli per i più svariati motivi, ma non per un’opposizione personale alla genitorialità). Nei casi più estremi, la persona childfree è disposta a tutto pur di scongiurare questa eventualità: i maschi si sottopongono alla vasectomina, le femmine alla salpingectomia bilaterale volontaria, ossia all’asportazione delle tube, che avviene il laparoscopia con un intervento che dura meno di 30 minuti. Si tratta di operazioni irreversibili che, vista la giovane età dei richiedenti, possono andare incontro a forti opposizioni di carattere morale anche da parte dei medici a cui vengono richieste. Opposizioni legittime, come nei casi di interruzione volontaria di gravidanza, ma è bene chiarire che anche la richiesta della controparte è del tutto valida: nel nostro Paese, infatti, se fino al 1978 la sterilizzazione volontaria era punibile con una pena che andava da 6 mesi ai 2 anni di reclusione, con l’introduzione dell’articolo 22 della legge 194 (la stessa che ha consentito l’aborto) la stessa pratica è stata fortemente depenalizzata. L’articolo, infatti, ha abrogato il titolo X del libro II del codice penale, che così recitava:
Art. 552. Procurata impotenza alla procreazione.
Chiunque compie, su persona dell’uno o dell’altro sesso, col consenso di questa, atti diretti a renderla impotente alla procreazione è punito con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da lire cinquantamila a duecentomila.
Alla stessa pena soggiace chi ha consentito al compimento di tali atti sulla propria persona.
Art. 553. Incitamento a pratiche contro la procreazione.
Chiunque pubblicamente incita a pratiche contro la procreazione o fa propaganda a favore di esse è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire quattrocentomila.
Tali pene si applicano congiuntamente se il fatto è commesso a scopo di lucro.
Da allora, l’intervento di sterilizzazione volontaria in buona sostanza si può fare, a patto che non sia contrario all’ordine pubblico o al buon costume e che, come da prassi, venga firmato il consenso informato. È inoltre auspicabile che la persona che vuole diventare sterile si sottoponga a uno o più colloqui con uno psicologo, al fine di comprendere bene tutte le implicazioni della sua scelta e scongiurare che alla sua origine ci sia una qualunque forma di incapacità di intendere e di volere.
“La mia libertà finisce dove comincia la vostra” diceva Martin Luther King. In questo senso, non vedo nulla di male in chi decide di vivere fino in fondo questo stile di vita childfree. È una scelta personale, che non puo’ nuocere a nessun altro se non a se stessi. Certo, è una scelta estrema, e come tale va fatta con altrettanta estrema serietà e consapevolezza, e non per inseguire una moda del momento o come “rito di accettazione” all’interno di un gruppo di fanatici. Ma chi siamo noi per giudicare?